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Il lato oscuro del Millennial: questa cosa riguarda anche te!

di
Simon Sinek Millennials | Massimo Petrucci Il Lato Oscuro dei Millennial

Se sei nato dopo il 1984 quest’articolo potrebbe fortemente infastidirti (anche il Grillo Parlante infastidiva Pinocchio, ma aveva ragione), d’altra parte se sei nato prima del 1984… beh, ti dico subito una cosa: il lato oscuro probabilmente riguarda proprio te!

Come dice Simon Sinek in una sua intervita, da cui questo articolo deve moltissimo, i Millennial sono tendenzialmente narcisisti, egoisti, dispersivi e pigri. Pretendono attenzione, luoghi stimolanti dove lavorare e vogliono (o pretendono) “lasciare il segno” qualunque cosa intendano con quest’espressione.

Questa riflessione Sinek mi trova per grandi linee d’accordo, tuttavia, così come viene spiegato qui di seguito, c’è un lato oscuro della faccenda e se i Millennial sono quello che sono, la colpa è anche (e forse soprattutto) della generazione precedente di cui anche io faccio parte.

La cosa che subito risulta dissonante è che nonostante questo atteggiamento “aggressivo”, questa apparente sicurezza, i Millennial dichiarano di non essere felici. Una generazione di narcisisti tendenzialmente non felice, suona strano, eppure è proprio ciò che le statistiche ci dicono.

Il problema, in sostanza, possiamo suddividerlo in quattro cause:

  1. i genitori (pensavate di cavarvela?),
  2. la tecnologia,
  3. l’impazienza,
  4. l’ambiente.

I genitori

Genitori troppo accondiscendenti

Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di – parole non mie – strategie fallimentari di educazione famigliare. Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché… lo volevano. Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore. Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.

Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivato ultimo, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia. La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.

Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore. Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece… ZAC! sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che la mamma non gli può fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché –  semplicemente – lo vuoi.

Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi. È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network. Ciò ci porta al problema numero due: la tecnologia.

La tecnologia

Tecnologia e Adolescenti

I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Facebook, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose. In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio alle Fiji, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.

Ho letto un’interessante ricerca scientifica, confermata anche da Sinek, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).

Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora si accende alcuna notifica, né un messaggio né una email, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico. Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta. È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi dieci messaggi a dieci amici. Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero? È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.

Ho conosciuto un ragazzo (nato dopo il 1990) che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram! Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato? Non piaccio più?”

Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!

La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina. Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.

La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette. Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).

È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!

In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.

I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.

Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari. Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio. È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.

È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o – peggio – le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza. Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.

Ciò che sta succedendo è che lasciando ai nostri ragazzi accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.

In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici. Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio. Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.

Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.

Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate. D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì. Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso. Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.

Cosa vuol dire squilibrio? Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno o stai leggendo gli aggiornamenti Facebook, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.

Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente al terzo problema…

L’impazienza

L'impazienza

I Millennial sono cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee. Vuoi comprare qualcosa? Vai su Amazon e il giorno dopo arriva. Vuoi vedere un film? Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.

Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App! Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.

Come Sinek, anche io ho spesso a che fare con questi ragazzi idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:

“Come va?”

e loro: “Credo che mi licenzierò!”

ed io: “E perché mai?”

e loro: “Non sto lasciando un segno…”

ed io: “ma sei qui da soli otto mesi!”

È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa! Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo. Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.

Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.

Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene

Come va con Maria? Abbastanza bene

Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.

L’ambiente

Ambiente di lavoro

Prendiamo questo incredibile gruppo di giovani e fantastici ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile! Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.

Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide. Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché spesso sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.

Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.

Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto. Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.

Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.

In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.

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